E anche questa missione a Domnak Chamboak (mi dice un caro amico cambogiano che è meglio indicarlo come Phnom Sorsea, sulla base del nome della pagoda sulla collina che ne è diventata il simbolo) si sta avviando alla fine.
Ultima giornata con i bambini.
Faccio come al solito un giro di tutto il Centro facendo un reportage fotografico sulle varie zone.
La mattina c’è come al solito il gruppo dei piccoli. Oggi solo 16 contro i 18-20 che ci sono di solito. Giocano alle costruzioni con teacher Navì.
Oggi siamo senza i nostri fedeli scooter che ci hanno visto scorazzare su è giù per la provincia di Kep e Kampot e per tutta l’ampia area su cui sono sparsi i villaggi. Quindi per le home visits utilizziamo la moto di proprietà del Centro e quella di Sony, l’unico teacher maschio. Qualche piccolo problema a capire il cambio a pedale (semiautomatico senza frizione) poi si va. Oggi andiamo nella parte più povera del villaggio, al di là della strada Kampot-Kep verso il Kampot River.
Prima tappa a casa Sokheng. I genitori hanno appena costruito una nuova casa, sopraelevata su piloni di cemento. Troviamo una situazione decisamente migliore rispetto a un paio di anni fa. Hanno dovuto fare un prestito con una delle numerose istituzioni di microcredito che operano in zona e con alcuni parenti. Ma rispetto alla situazione che avevamo trovato quando avevamo avviato il suo SAD, non ci sono paragoni.
Sokheng arriva da scuola dopo circa 20 minuti. La mamma ci racconta di una disavventura con un alveare di calabroni che lo ha portato all’ospedale qualche mese fa in condizioni abbastanza critiche. Una parte di un grosso alveare che ancora pende da una palma vicino alla casa, è caduta e i calabroni lo hanno attaccato. Si è salvato solo grazie alla prontezza di riflessi di buttarsi ino stagno, poco più di una pozza di acqua sporca, lì vicino. L’alverare è ancora lì e nessuno lo rimuoverà da dove è fintanto che non arriveranno dei monaci a fare una cerimonia particolare per consentire la rimozione, perché una superstizione popolare dice che se non fai così e lo rimuovi, porta sfortuna.
Sokheng vuole studiare computer. Dice che vedendo i nostri teachers al Centro lavorare gli è cresciuta la curiosità di capire di più.
Foto di rito, con i genitori e i due fratellini e poi via di nuovo.
Andiamo a trovare Sreyneang, una delle bimbe inserite in SAD lo scorso anno. Vive ancora con la nonnina che l’ha praticamente adottata dopo la morte della madre e l’abbandono da parte del padre. Rispetto a come l’avevamo trovata lo scorso anno l’espressione è davvero cambiata. Sempre timida, ma molto più tranquilla. Lei e la nonnina adesso dormono in un vicino deposito dove viene portato il pescato delle barche che attraccano lì vicino. Per questo la nonnina riceve 10 usd al mese dai proprietari del deposito. I soldi se ne vanno tutti per consentire a Sreyneang di pagare la frequenza giornaliera della scuola. La scuola dovrebbe essere formalmente gratuita, ma poi un po’ perché i bambini fanno una piccola colazione, un po’ per le lezioni extra cui sono invitati a partecipare, in realtà costa circa 3.000 Riel al giorni (75 cent di auto).
La nonnina e Sreyneang ricevono aiuto dai vicini, che le hanno di fatto a loro volta adottate. E’ ancora una di quelle storie di aiuto reciproco che ti aprono in due il cuore. Cercheremo di vedere cosa si può fare oltre a quello che già facciamo in collaborazione con i suoi sponsor, per dare una mano.
Di nuovo lungo la strada. Il villaggio cresce anche da questo lato della strada e proseguendo lungo la sterrata che porta più dentro le risaie che costeggiano il Kampot River, là dove lo scorso anno c’era sabbia adesso ci sono case, alcune anche eleganti, in muratura. Per arrivare alla casa di Tola facciamo un numero da circo, una volta svoltato dalla strada sterrata principale, e ci avventuriamo per i sentieri a cavallo delle risaie. Per qualche miracolo riesco a non cappottarmi nella risaia e arriviamo alla casa. Tola è a casa con la mamma. Quando arriviamo stanno portando al pascolo le loro due mucche. Anche Tola adesso frequenta la scuola secondaria. La casa è messa relativamente bene rispetto a tante che abbiamo visto in giro per il villaggio.
Facciamo qualche foto e quattro chiacchiere. Tola, come dice il suo nome, è nato nel mese di ottobre (Tola appunto). Ormai lui deve prepararsi per tornare a scuola. E anche per noi è ora di andare.
Ma prima passiamo alla vicina casa di Makara, uno dei ragazzi che purtroppo è uscito dal nostro programma SAD. Il padre, purtroppo un poco di buono mi dice Sokkea, è venuto a prendere lui e la sorellina durante un’assenza della mamma, e se li è portati via lontano al confine con il Vietnam, dove adesso lui dopo la separazione dalla moglie si è rifatto una vita e una famiglia. La casa appare abbandonata. La mamma ha trovato lavoro come donna delle pulizie in una fabbrica qui vicino.
Usciamo dalla piccola proprietà con l’amaro in bocca. La vita spesso è crudele. E qui la crudeltà si aggiunge a tutte le difficoltà quotidiane per sopravvivere. Chiedo a Sokkea come mai possano succedere cose così. Spesso le donne non sanno nemmeno che diritti hanno sui figli. E anche se lo sapessero, è l’amara considerazione, non avrebbero modo di farli valere perché non hanno punti di riferimento o i soldi necessari per perseguire legalmente i loro diritti.
Rientriamo al Centro. Ormai siamo alle ultime foto prima della partenza. I bambini arrivano presto e alle 13 sono già praticamente tutti qui. Approfitto per contare i bambini presenti. In tutto sono più di 80 suddivisi in 5 gruppi di studio. Il più numeroso è quello dei più piccoli, che lo scorso anno scolastico venivano al mattino e adesso sono al primo anno di scuola e quindi vengono nel pomeriggio.
Prima dei saluti, riunione di feedback con lo staff. Quando finiamo sono già le 15.30 e siamo in ritardo di 30 minuti sulla tabella di marcia.
Il tempo di voltarmi un attimo e i bambini sono già tutti sulle lunghe tavolate nell’aula esterna. Tocca a me per primo dire qualche parola di saluto e dare loro l’appuntamento, auspicabilmente, al prossimo anno. Poi Sokkea chiama qualcuno dei più grandi a parlare. La prima è una ragazzina dalla pelle scurissima, occhi dolcissimi. Mi ringrazia in Khmer. Poi arriva Yorng Somphors e in coro con un’amica mi rigrazia in inglese. Un saluto e un ringraziamento da parte mia allo staff e poi è proprio ora di andare. Channa mi ringrazia a nome di tutto lo staff e trova il modo di allungarmi un regalo. Sono i braccialetti che i bambini hanno fatto in questi giorni, da portare in Italia. Abbiamo più di un’ora di ritardo. Meno male che non ho preso impegni per questa sera.
Ma prima di partire non posso fare a meno di chiamare i miei bambini a darmi il loro abbraccio. Mouyhour non si accontenta dell’abbraccio e mi stampa un bacione sulla guancia. E così a seguire tanti altri piccoli e grandi. Dany, Somphors, Rongchhorn, Pisey e anche i maschietti più piccoli che mi si arrampicano addosso.
Quando mi giro per andare verso l’uscita del Centro mi arriva un altro grande abbraccio. Quello della nostra dolce Somphors, una delle due ragazze che sosteniamo ormai praticamente dall’inizio del progetto. Da quando le è mancato il papà è stata lei ad adottare me. Mi tiene la mano fino a quando salgo in macchina. Per l’altra mano c’è competizione, ma alla fine la vince la piccola Mouyhour.
Chuap knia chnam kraui. See you next year.
Come ogni volta I sentimenti sono misti. Ma una cosa è certa, che questi bambini ti danno davvero tanto, ti danno qualcosa che ha un valore infinito, il loro affetto, il loro sorriso meraviglioso, la loro incondizionata riconoscenza.
Presto siamo sulla strada per Phnom Penh e dopo aver lavorato un po’ al computer decido di riposare un pò. Quando mi risveglio stiamo facendo una pausa e siamo ancora neanche a metà strada da Phnom Penh. La strada è un vero disastro, tutta buche e polvere. Con il buio, le luci delle auto e dei motorini, il traffico micidiale lungo tutto il percorso richiama immagini da inferno dantesco. Certo che Kep, con le strade così conciate è davvero lontana. Oltre 4 ore per percorrere poco più di 170 chilometri.
Alle 20.30 passate arriviamo all’hotel. Esco dalla ghiacciaia dell’auto nei 30 e oltre gradi di Phnom Penh. Ancora una lunga giornata. Già mi mancano i miei piccoli.
But this is Cambodia……. Or bust.