Cambodia or bust 2017 – 30 Novembre/30 November

Anche oggi la giornata parte con lo stop alla panetteria, per fare una piccola colazione in tuk tuk mentre andiamo verso il Centro.

Ma prima di partire per Domnak Chamboak ci fermiamo in una grande farmacia ad acquistare materiale sanitario e medicinali che ci sono stati indicati dai nostri medici. Il negozio è stipato con medicinali di tutti i tipi e la gente arriva a frotte ad acquistare di tutto. Al bancone un uomo di mezza età e 3 ragazzi che corrono avanti e indietro dai vari armadietti. Molti comprano i singoli blister, non la confezione intera. Comprano lo stretto necessario per la cura prescritta. Quando ripartiamo dalla farmacia sono già le 9.

Ci vuole una buona mezz’ora in tuk tuk per arrivare al nostro Centro e quando arriviamo tutti i piccolini sono nella biblioteca con Kimlaan e Kimheap  a giocare e cantare e con i loro librettini illustrati in mano. Rimaniamo al Centro giusto il tempo per fare qualche foto ai piccoli.

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Oggi dobbiamo fare una home visit in mattinata alla casa di Makara perchè Sokkea mi vuole fare vedere le condizioni in cui vive con la mamma e la sorella minore (anche lei al nostro Centro, nel gruppo dei cosiddetti Non Center Children, un simpatico nome per dire che nel budget del Centro sono ricompresi altri 18 bambini, oltre ai 50 previsti dal programma).

Percorriamo qualche chilometro in moto, nelle campagne sul lato della strada Kep-Kampot opposto rispetto al nostro Centro. E’ la prima volta che ci inoltriamo così distante su questo lato dell’area rurale che circonda il nostro Centro. Poi a un certo punto, arrivati al canale di acqua salata che collega Kep a Kampot la strada diventa impercorribile in moto e dobbiamo fare ancora un pezzo a piedi per raggiungere la casa.

Casa…. grande parola. Casa in senso affettivo. In realtà poco più di una capanna fatta di una struttura in legno, coperta sui lati da foglie di palma e con il tetto fatto di lamiera/eternit. Vorremmo poter dare una mano per sistemare la casa, ma è difficile poter sostenere i costi e difficile farlo solo per qualcuno e non per altri che sono nella stessa situazione.

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Mentre giro attorno alla casa per fare le mie foto, noto una bimbetta nel campo di fronte. Mi avvicino per fare delle foto e mi rendo conto che ha tutto il torace arrossato e gonfio. La nonna spiega a Sokkea che ha una brutta bronchite e che l’hanno trattata con la tecnica tradizionale del “coining” (un trattamento della medicina tradizionale khmer che viene fatto “grattando” la pelle con una moneta o con un attrezzo che porta all’estremità un pezzo di metallo che sembra una moneta). Con Sokkea decidiamo di fare venire anche lei con la nonna a farsi visitare allo street hospital dove lavorano i medici che seguono il Centro.

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All’ospedale c’è un po’ di trambusto quando arriviamo. C’è appena stato un parto e amici e parenti, tra cui la mamma della nostra Channa, fanno avanti e indietro a trovare la mamma e la neonata. Arriva la piccola Nita con la mamma, arriva la nostra bimba con la nonna. Vengono accolte immediatamente dal giovane medico che avevo incontrato l’altro giorno al Centro. Prima arriva la bimba, con diagnosi di bronchite e medicinali da prendere per aiutarla a guarire. Il gonfiore sul suo torace è proprio dovuto al trattamento del “coining” che ha irritato tutta la pelle quasi come una scottatura. Nita è ancora in visita quando partiamo dall’ospedale per rientrare al Centro. Abbiamo un appuntamento per pranzo a casa di Kemheng e siamo già in ritardo. Ci diranno dopo che il medico ha escluso malattie e che le ferite sulle gambe sono effettivamente dovute ai morsi di formiche, al fatto che la bambina di scortica le ferite con le unghiette e alle scarse condizioni di igiene in cui purtroppo è costretta a vivere. Ma Sokkea non è ancora convinto e vuole portare anche Nita domani all’ospedale di Kampot, insieme ad altri 3 bambini (1 perchè è spesso debole e ha dei piccoli mancamenti, 1 perchè i medici hanno chiesto un controllo cardiologico e 1 più grandicella con un problema alle gambe simile a quello di Nita).

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Quando arriviamo al Centro c’è il papà di Kemheng, preoccupato per il nostro ritardo, avremmo dovuto essere a tavola alle 11.30 e sono già quasi le 12. Per fortuna la casa della piccola, splendida Kemheng è a poca distanza da dove siamo.

Arriviamo alla casa, e dopo esserci scusati per il ritardo, ci mettiamo a tavola con riso bianco, gamberi e granchi di mare, pollo e varie salsine come usuale a diverso livello di pericolosità piccante. Peccato per i nugoli di mosche che ci assalgono. Granchio e gamberi sono davvero ottimi, anche se il granchio si fa odiare per la difficoltà che presenta nell’offrirci le sue bianche carni. A tavola ci raggiungono anche Channa e Sony, per fortuna, perchè c’è da mangiare per un esercito.

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Quando Kemheng si prepara per andare a scuola, le diamo appuntamento per domani a Kampot, dove lei e Somphors ci incontreranno per andare a prendere le loro biciclette nuove. Tempo di andare a prendere un buon caffè khmer al nostro bar preferito, di fronte alla Pagoda di Phnom Sorsea, al centro del villaggio.

Appena arriviamo al caffè la proprietaria mi riconosce e mi accoglie con un gran sorriso. La stanchezza si fa sentire. Sokkea si posiziona su una delle amache. Io mi sdraio su uno dei panconi da cui si vede anche la televisione. Arrivano i nostri caffè freddi (t’kork cafè) e arrivano anche due comodissimi cuscini che non fanno che incentivarmi a un po’ di relax. I cuscini sono arrivati alle 13.30, quando riprendo contatto con il mondo sono le 14.30 passate. Sotto il pancone un cane che dorme alla grande e russa come una motosega. Sokkea pensava che fossi io a russare!!

Ora di riprendere le nostre attività. Oggi distribuzione materiali ai bambini del Centro e ai Non Center. Consegniamo l’uniforme scolastica e ovviamente sono le mie mani che fanno la consegna. Hanno spostato apposta l’appuntamento trimestrale per farlo quando sono qui. Pai, SreyLeak (le due insegnanti di lingua Khmer) e Kimlaan selezionano le taglie giuste, Kimlaan le consegna a me, Channa tiene il conto delle consegne e fa firmare il foglio ai bambini immediatamente prima che ricevano il materiale, mentre Sony si da da fare con la nuova macchina fotografica arrivata dall’Italia, con pose quasi acrobatiche saltando di qua e di là per avere diverse inquadrature.

Ci avviamo alla fine della giornata e io ovviamente non ci penso neanche ad andare via se non ho ricevuto il mio quotidiano abbraccio, che arriva puntuale e travolgente. Ormai anche i bimbi si protendono in avanti facendomi capire che mi vogliono dare un bacio di saluto. Le bimbe hanno ormai sdoganato il bacio di saluto e se non mi abbasso verso di loro porgendo la guancia non mi mollano dal loro abbraccio. Come ho già detto è un duro lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare!

Sokkea mi pressa perchè la giornata non è ancora finita. Prima di rientrare a Kampot abbiamo un’altra home visit da fare alla casa di Seavchuy. Questa volta nella direzione esattamente opposta rispetto a quella di stamattina nella parte della piana che porta verso le colline che vediamo all’orizzonte dal nostro Centro. La situazione che troviamo non è molto differente da quella del mattino. Anche qui la casa è ridotta veramente ai minimi termini. Un tetto in lamiera e pareti fatte di foglie di palma. Un stanza unica con un pancone per dormire, che di notte accoglie 5 persone, una tettoia che si protende di fronte alla stanza e che rappresenta la cucina dove una pentola annerita è su un fuoco vivo alimentato da piccola legna. Quando vedi queste cose ti sanguina veramente il cuore. Poi vedi i bimbi che giocano sempre con il loro bellissimo sorriso sul viso e ti chiedi davvero come facciano. Quanta dignità nella povertà di questa gente. Parlano delle loro condizioni con un fatalismo che rasenta la rassegnazione. Quando incontri continuamente queste situazioni vorresti avere davvero la bacchetta magica per poter superare tutti i tuoi limiti. Ma purtroppo le bacchette magiche esistono solo nelle favole e sbatti il muso contro la cruda realtà con la quale purtroppo in qualche modo devi venire a patti.

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Veniamo via, tra i saluti di tutta la famiglia, felice di avere ricevuto un sacco di riso che abbiamo portato per dare una mano e che coprirà il fabbisogno della famiglia per circa un mese

Ancora l’ultimo impegno. La visita alla nostra Sao Leang, che a 16 anni, contro il parere della famiglia e contro i nostri suggerimenti, ha deciso di sposarsi con il suo ragazzo di 21 anni. E’ un incontro fortemente emotivo. Quando le chiedo del suo prossimo matrimonio lei è a disagio. Sokkea mi dice che non le piace parlarne. Cerco di capire perchè così giovane. Perchè voler fuggire dalla scuola e tuffarsi nella vita adulta così presto. Ma non ci sono risposte. Mi fa davvero tenerezza. Non trovo altro modo di comunicare con lei che tenendole le mani nelle mie. Faccio tradurre da Sokkea. Le auguro tutto il meglio per il suo futuro, ma aggiungo anche che se mai dovesse cambiare idea o se avesse bisogno di aiuto il nostro Centro è sempre aperto e faremo tutto quello che potremo per darle una mano. Le spunta una lacrima, che si affretta ad asciugare con il palmo della mano.

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E’ ormai buio ed è proprio ora di andare. E’ il primo anno che mi trattengo al villaggio così a lungo fino a tramonto inoltrato. Mentre percorriamo a ritroso la strada che ci riporta al Centro e poi verso la statale Kep-Kampot, cerco di immaginare cosa sia passare la propria vita tra queste risaie. Difficile a dirsi. Una dimensione davvero impensabile se non la tocchi con mano.

Ormai per certi versi mi sento parte di questa comunità. Capita spesso che quando viaggiamo con il nostro tuk tuk, mi senta gridare da qualche parte “Hellooo, Francooooo”. Sono i nostri bambini che ci vedono passare, che ci incrociano al ritorno dalla scuola secondaria, che ci incontrano lungo la statale e non perdono l’occasione di farsi sentire.

A domani, con la visita al Sonya Kill Hospital e la distribuzione materiali ai bambini del Sostegno a Distanza.

Stasera lo dico in modo diverso…

Do no forget…… Cambodia or bust…….

 

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