Sabato. Centro chiuso, anche perchè purtroppo non abbiamo più l’insegnante di danza tradizionale khmer e i ragazzi dello staff (Kimlaan, Kemheap e Sony) sono impegnati con l’università, mentre Channa, SreyLeak e Pai hanno giustamente i loro impegni familiari.
Oggi e domani giornate di relax, prima dello sprint della settimana prossima che mi riporterà prima a Phnom Penh la sera dell’8 dicembre e poi in Italia la mattina di Lunedì 11 dicembre.
Giornata dedicata alla visita di Bokor Mountain, la montagna di circa 1.100 metri che sovrasta Kampot ed è ben visibile da tutta l’area corcostante da Ha Tien al confine con il Vietnam fino a oltre Sihanoukville (a circa 100 km da Kampot).
Sokkea viaggia con Kimlaan sulla sua moto. Io viaggio su una moto a noleggio. Sokkea è un po’ preoccupato per la mia abilità di moto driver e per il traffico, ma lo tranquillizzo ricordandogli che fino a qualche anno fa viaggiavo avanti e indietro dall’ufficio nel traffico di Milano con il mio scooter 400 cc. Non mi sembra tanto convinto, ma tant’è. A piedi a Bokor non ci posso certo andare e vista la mia esile corporatura, fare il passeggero su una di queste moto su strade che salgono fino ai 1.100 m. non mi sembra una buona idea, nè per me, nè per chi guida, nè tantomeno per la povera moto.
La strada che sale a Bokor è molto bella e l’attacco della salita si trova a circa una decina di chilometri dal centro di Kampot. La prima sosta la facciamo lungo la salita per avere il primo scorcio del panorama. Abbiamo anche la fortuna di avere dalla nostra parte il bel tempo. Sokkea mi dice che è venuto diverse volte quassù ma si è sempre trovato immerso nelle nuvole senza possibilità di avere vista sul panorama. Oggi il vento è veramente forte e man mano che si sale la temperatura si rinfresca notevolmente, tanto da costringermi a mettere una maglia con la manica lunga.
Lungo la strada tappa obbligata alla enorme statua che riproduce una originale immagine del Buddha. Dalla collina che la ospita si gode di una splendida vista anche su buona parte dell’altopiano, dove passeremo tutta la giornata. E’ pieno di turisti, mi dicono in gran parte dal vicino Vietnam.
Terza tappa al Centro per la pianificazione e lo sviluppo del grande progetto immobiliare (Bokor Development Master Plan) che è stato affidato dal governo ad un grosso gruppo alberghiero e di costruzione che ha già una serie di iniziative in tutte le principali località turistiche della Cambogia. C’è un enorme plastico che riproduce quello che dovrebbe essere quest’area tra qualche anno. Vedendo la rapidità con cui le cose cambiano qui, probabilmente tra un paio d’anni, se non ci sono inconvenienti di percorso, questa zona sarà praticamente irriconoscibile rispetto a come è adesso. E’ prevista anche una teleferica/ovovia che dalla vallata salirà fino alla cima di Bokor.
Questa montagna è particolarmente cara ai cambogiani perchè era la zona dove re Sihanouk passava alcune delle sue vacanze. E’ la zona dove ha girato alcuni dei suoi film (Re Sihanouk durante la sua lunga vita pubblica ha voluto cimentarsi anche con la regia e interpretazione di alcuni film di cui 1 o 2 girati proprio da queste parti). Ma ora questa zona attrae anche molti vietnamiti, convinti che i loro avi siano seppelliti su questa montagna, in particolare nelle zone chiamate 100 e 500 Rice Fields.
Quarta tappa per visitare la diga creata ai tempi del regno di Sihanouk (potrebbe essere negli anni ’60). Adesso il livello è circa un metro sotto l’argine. Nel pieno della stagione delle piogge arriva a sfiorare l’argine. Scendiamo sotto la piccola diga, dove ci sono le valvole che consentono il deflusso dell’acqua del bacino quando necessario.
Prossima tappa, probabilmente la più bella, le cascate di Povokvil, forse la vera attrazione turistica in questo momento, almeno per noi occidentali. Lungo la strada a un certo punto vedo che Kimlaan alza in fretta i piedi dalle pedane della moto e dopo un attimo capisco il perchè. Hanno appena evitato un serpente (sarà lungo almeno un metro e mezzo) che attraversa la strada. E’ velocissimo e giusto il tempo di vederlo (io sono un trentina di metri dietro Sokkea e Kimlaan) ed è già dall’altra parte. Sokkea mi ha poi detto che temeva di investire la coda, perchè questo avrebbe provocato la reazione del serpente, che avrebbe sicuramente tentato di difendersi girandosi su se stesso e tentando di mordere chi lo minacciava. Direi che questo mi serve per ricordarmi che non sono al parco zoologico di Pombia, ma sono in una zona prevalentemente coperta di foreste del sudest asiatico. Mai dimenticarselo.
Arriviamo all’ingresso dell’area presso le cascate. Superata una zona dove c’è il Visitor Center e un ristorante, si scende lungo un sentiero in mezzo alle rocce. Al limite di una fitta foresta tropicale uno dei fiumi che percorrono l’altopiano forma una cascata con una serie di salti, il primo dei quali alto circa 10 metri e accessibile fino al primo livello senza grandi difficoltà (visto che anche io che non sono proprio una gazzella ci sono arrivato senza rompermi l’osso del collo). Si possono fare delle belle foto da sotto la cascata. A valle il cosro d’acqua compie diversi altri salti per poi inoltrarsi in un tratto di fitta foresta. E’ davvero strano essere in questi ambienti. Da quando ho conosciuto la Cambogia sto facendo cose che mai avrei immaginato prima in vita mia, su molti fronti della mia vita. Pensare che quando mi proposero la prima possibile vacanza in Thailandia (e sottolineo Thailandia, che è da anni turisticamente molto più avanti della Cambogia) dissi di no perchè avevo “paura” dell’ambiente tropicale e di vedere la povertà della gente in questi Paesi. E adesso ogni volta che mi fermo a riflettere su questo e sui cambiamenti che sono avvenuti in questi ultimi anni continuo a stupirmi di questa nuova vita, iniziata 7 anni fa con il primo viaggio in Cambogia e poi proseguita con questa “folle” avventura nel sudovest del Paese.
Dopo un breve pranzo a base di Khmer Red Curry Soup torniamo sulla strada. La prossima meta è chiamata 500 Rice Field o 100 Rice Field o Temple, non l’ho ancora capito a dire la verità. Ma l’aspetto dovrebbe essere pressochè lo stesso. Grandi rocce nere con piccole torri fatte di sassi, realizzate dai visitatori come augurio di buona fortuna per sè e per le proprie famiglie. E’ qui che i vietnamiti che vengono in “pellegrinaggio” pensano che siano sepolti i loro avi. Ma Sokkea è sicuro che non sia così. In effetti non si vedono tracce di tumulazioni o tombe. Non si capisce se le piccole pigne di sassi debbano essere una sorta di linga, simbolo fallico, tradizionale simbolo di fertilità nelle culture dell’Asia e in particolare in quella Khmer. Ci sono anche strani fiori (assolutamente proibito raccoglierli, come le nostre stelle alpine) che hanno un aspetto curioso che lascio ad ognuno di voi interpretare. Anche questa è Cambogia! Molto particolare il fatto di trovare quassù sabbia bianca come se fossimo alla spiaggia di Sihanoukville. Non si riesce davvero a capire come possa essere arrivata qui.
E’ ormai pomeriggio inoltrato e le nostre moto continuano a macinare chilometri. Non possiamo mancare la visita alla pagoda di Wat Sampov Pram (tempio delle cinque barche, dalla forma delle rocce che stanno di fronte alla pagoda e che ricordano la chiglia di un’imbarcazione) . Uno dei luoghi dove Sihanouk ha girato uno dei suoi film. Mentre scendiamo in un avvallamento della strada sento qualcosa che c mi colpisce la moto, il casco, il torace. Pum, pum, pum, pim ,pum, pam. Vedo Sokkea che si ferma di colpo e inizia a spazzolarsi i vestiti con le mani. Sta mandando via insetti. Mi abbasso e vedo parecchie api attaccate qua e là sulla maglia. Per fortuna avevo appena chiuso il casco. Siamo praticamente entrati in uno sciame di api. Non ho capito da dove sono venute. Alcune sono attaccate alla mia maglia per il pungiglione. Appena si sono sentite appiccicate a me, imprigionate hanno punto. Per fortuna sono vestito a strati, e il pungiglione non è arrivato alla pelle. Quando ero negli USA ho avuto pessime esperienze con le api (i miei host parents erano apicoltori) e ho scoperto con grande sofferenza di essere allergico alle punture delle api, non da shock anafilattico ma sicuramente abbastanza da stare male con febbre alta, nausea e mal di testa fortissimo per diversi giorni. E anche questo mi serve per ricordarmi che siamo in una terra ancora abbastanza selvaggia per farti del male, se non sei prudente o non hai la fortuna dalla tua parte.
La pagoda sembra molto antica. Dietro l’edificio dedicato al culto uno stupa alto almeno 7-8 metri, forse di più. E dalla balconata una vista mozzafiato che spazia dal confine con il Vietnam, a Rabbit Island, a Kep, fino a Kampot e oltre, con la grande isola vietnamita di Phu Quoc proprio lì di fronte, geograficamente assolutamente in Cambogia, e all’orizzonte sulla destra le isole dell’arcipelago di Koh Rong di fronte a Sihanoukville. Splendido. Veramente splendido.
Ultime due tappe. Prima il vecchio Casinò risalente agli anni ‘50-’60, attualmente in ristrutturazione. E poi uno stop al nuovo casinò. Un po’ di relax per prendere qualcosa da bere e poi saliamo dove ci sono le sale da gioco. Nonostante l’ambiente sicuramente elegante, avvicinandosi alle sale dove si svolge il gioco si respira l’aria “non sana” dell’ambiente. Poca gente oggi. Qualche cinese. Un gruppo di vietnamiti al blackjack e due ragazzi probabilmente australiani o americani a una delle roulette automatiche. Anche in questo ormai l’automazione ha rubato posti di lavoro all’uomo. Proviamo con la roulette. Giochiamo 5 dollari. Rosso 2 dollari, e 20 centesimi sui numeri 14, 15, 16, 17, 18. I numeri non escono ma esce il rosso. Giochiamo ancora. Il nostro gruzzolo sale a 8 dollari. Un rendimento sul capitale del 60%. O la va o la spacca. Ancora 2 dollari sul rosso e 1 dollaro distribuito sui cinque numeri. Addio rendimento. Riportiamo a casa almeno il capitale. Niente cena gratis. Come al solito vince sempre il banco. E’ già un successo, nel nostro piccolo, aver giocato di fatto senza perdere nulla.
Adesso è davvero ora di rientrare a Kampot. Ci tuffiamo lungo la discesa che va dai 1.100 metri di Bokor al livello del mare di Kampot. Sokkea continua a sorpassare qualsiasi mezzo gli si pari di fronte e mi costringe a fare dei numeri alla Randy Mamola, almeno per le mie capacità motociclistiche. Quando arriviamo alla stazione di servizio alla fine della strada capisco perchè era così di fretta. Poca benzina nel serbatoio e paura di rimanere per strada. Anche questa è andata. Salutiamo Kimlaan che ha ancora circa 45 minuti di strada per arrivare al suo villaggio di Angkuol (il villaggio di pescatori vicino al confine con il Vietnam, dove siamo stati lo scorso anno a consegnare materiale scoalstico durante la mia missione 2016).
Ria Plia. Kan’sa’aik chuap knia. Arrivederci, ci vediamo dopodomani.